Roma
DNews
09/03/2009
O lo ami, o lo odi. Perché non è facile, non è una di quelle persone che mette su spettacoli che si possono seguire inserendo il pilota automatico dei neuroni. Afferrarlo è una sfida contro la sua velocità e la propria attenzione. È l’incantatore delle parole che si agitano come serpenti e non si può non rimanerne ipnotizzati. Risponde al nome di Alessandro Bergonzoni. Fino al 22 marzo al Teatro Ambra Jovinelli (Via Guglielmo Pepe Biglietti: 10/ 30 euro), dove arriva con “Nel”, spettacolo per il quale si è guadagnato il premio Ubu come migliore attore. Riconoscimento che, spiega, fa di questo periodo un «momento magico, insieme alla “Casa dei risvegli” (centro che segue le persone in coma, ndr) e «all’apertura di un nuovo studio a Bologna, che rende la pittura un secondo lavoro». Otre a comporre e recitare spettacoli scrive libri e dipinge (la prima personale a Napoli meno di un anno fa). Un fiume di creatività declinata in ogni forma. Chi lo conosce sa già, chi non lo ha mai visto presto si chiederà come faccia. Non tanto a parlare, quanto a pensare così velocemente.
Uno comincia a pensare così velocemente quando lo decide il pensiero, in fase pre natale, molto prima di nascere. È una questione di animo, di sforzi, di energia. Comincia a pensare velocemente perché ha un richiamo, un bisogno di andare oltre.
Beh, siamo sempre pronti ad accettare ciò che nasce dai computer, e che la scienza e l’informatica dimostrino le cose, mentre quando è una questione interna alla persona, non ci crediamo. Questa è la cosa di cui mi lamento di più: uno scetticismo tremendo applicato alle cose interiori e impossibili. Abbiamo paura di scoprire l’inscopribile, non c’è niente da fare.
Io non riesco a capire se si debba ancora raccontare il raccontato. Il pubblico deve cominciare a cambiare palato: come può aspettarsi quello che sa già? Che divertimento c’è? L’analisi di questa realtà lasciamola a Grillo, che almeno non fa il comico, o a Luttazzi che sa fare sia il comico che il satirico. Il resto è intrattenimento, imitazione: vogliamo far l’imitazione? No, dico, dobbiamo prendere in giro ancora qualche calciatore, dobbiamo fare la parodia di qualche altro allenatore?
Sono sconvolto da come accettiamo il già visto, è una cosa sorprendente.
Dobbiamo stabilire se accettiamo solo quello che è facile oppure no. Cinquant’anni fa la gente moriva di tumore e diceva “è capitato a me” “me lo sono meritato” o “è ereditario”, adesso la gente se ce l’ha vuole sapere cosa mangia, cosa ha mangiato e chi gli ha causato quel tumore. Adesso è il tempo di fare un’analisi profonda: la vita è complessità, non esiste una norma, una regola, o un Bignami.
Vuol dire che non accettiamo lo straniero che è in noi, e “straniero” vuol dire in coma, straniero vuol dire stato vegetativo, vuol dire malattia, colore diverso… tutto questo.
So che si era detto di andare oltre, ma “stato vegetativo” è una parola che adesso richiama alla realtà.
E invece ci manda proprio fuori dalla realtà. C’è un enorme che non può essere regolato dalle norme. È da lì dentro che deve nascere una risposta o una domanda sullo stato vegetativo. Se il cittadino non fa questo lavoro, cosa vai a fare dal notaio? Trovo assurdo dare di assassino a un padre, così come credere che ci sia un Englaro solo, mentre ci sono 2500 Eluane.