GUAI A TE SE MI POKKI

GUAI A TE SE MI POKKI

Data

23/04/2009

Pungolare, dar di gomito (anche se è un indice), attrarre l’attenzione. Poke. Quel simpatico ditino che sta tra le funzioni di Facebook. Di tutte le cose, di certa o dubbia utilità presenti sul social network, sicuramente trattasi di una delle più discusse. O ci si diverte, o si snobba. Ma come sempre, sono le interpretazioni a essere la parte più divertente del gioco. Su  Facebook Italia, la spiegazione è la seguente: “Toccare qualcuno con un dito, attirandone l’attenzione”. E fin lì, apparte la sequela di commenti, alcuni divertenti e con giochi di parole (“meglio poke che niente”) e altri da domanda esistenziale (“La mia ex mi ha pokato, che dite, è un chiaro segnale che ci stà ancora?”) niente di nuovo sotto il sole. A parte il fatto che il quesito principale è: ho capito, ma a che serve?!?

La vera domanda non è COSA, ma COME.
Come si usa? È un mezzo che può compromettere rapporti o un passatempo per gente che non sa che fare?
Alla faccia di chi si lamenta del fluttuare delle non definizioni in cui viviamo, la verità è che non si sa.
Una piccola indagine anonima ha prodotto i seguenti risultati:
SCETTICO: “Ehm, credo di non aver mai usato quella roba in vita mia, né di essere mai stato (Dio mi perdoni) ‘pokato’”.
INDIFFERENTE: “Non ho mai indagato su cosa fosse realmente”
TRASCENDENTALE: “Il papà dei pokemon? Non lo uso… ma cos’è quella roba tipo un tocchettino sulla spalla che c’è su facebook?”
CONCRETO: “A me hanno detto che il poke è come lo squillino con il telefonino quando vuoi dire ad una persona: ti sto pensando!”
SNOBISTA: “Conosco Picacciù…quanto ai poke di facebook mi sembrano una minchiata immensa, stile squillino al cellulare: molto adolescenziale!”
EDUCATO: “Non lo uso se non per “rispondere a”, perché mi sembra sempre un po’ sgarbato non farlo”
SCHIETTO: “Io lo assimilo tipo ad una specie di pizzicotto o pacca, magari non proprio sul sedere, ma poco ci manca 🙂 per cui io personalmente lo uso pochissimo e quando lo ricevo (rarissime volte) rispondo solo se la persona mi sta davvero simpatica”.
PRAGMATICO: “Lo uso poco perché non riesco a togliergli il significato del flirt quindi utilizzo solo per dare noia”
INTERROGATIVO: “Da un paio di giorni Tizia mi poka. Almeno una volta al giorno. Io rispondo, non so nemmeno perché”.

Ecco il dunque: cosa sono tutte quelle leggende che aleggiano sull’uso del poke come atteggiamento da flirt, insomma come un tocchettino “che ti faccio in privato tanto nessuno ci vede”?
Sicuramente, è una delle poche applicazioni non pubbliche di Fb (togliamo le ultime opzioni che aiutano la privacy, ma tant’è) e già questo ne fa un oggetto di sospetto. In separata sede su fb ci sono solo due cose: il messaggio di posta interno e il poke. Puzza di bruciato. E così che il poke diventa una strizzatina d’occhio, un tocchettino sulla spalla un po’ più malizioso.
“E adesso pokko quello” e “oh, non sai chi mi ha pokato” e via di seguito.
Per evitare che sembri un’analisi dalla quale mi tiro fuori, io ho iniziato a usarlo con un caro amico, proprio intendendolo come “adesso ti rompo le balle”. Come quando stai parlando e qualcuno ti bussa alla spalla con insistenza. Poi sono venute le amiche, con le quali suona tipo “hei sorella batti il cinque” (un po’ meno loffio del cinque che manco il dj Jonny Glamour userebbe più). Poi, i conoscenti o pseudo tali: lì è come un sorrisetto, come dire “hei, ci sono, ciao!”.  Certo, denota simpatia. Mica poki a caso indistintamente. Un minimo di divertimento ci deve essere. E ammetto che con il bb è ancora più spassoso. Ricevi un poke e zac, ricambi in un secondo.

Per chiudere, la risposta e definizione di Antonio Sofi, con le parole che usa quando fa la persona seria:

“Un poke può essere molte cose, come uno squillo singolo nel cellulare – è un’azione comunicativa di contatto, dal bassissimo contenuto, ma molto eterogeneo quanto a significato: può voler dire ‘ci sono’, ‘sono qui’, ‘ti penso’, ‘mi piaci’ eccetera. E spesso proprio nella necessità inevitabilità dell’interpretazione che risiede il bello del poke: che appunto rende attiva e decodificabile una relazione spesso flebile come quella dei social network”.