TRA LE CASE DEL CAMPO ROM

TRA LE CASE DEL CAMPO ROM

Luogo

Roma

Testata

DNews

Data

24/07/08

Come ti chiami? – guardano dritto negli occhi alzando la testolina – Come ti chiami?». Lo chiedono a ripetizione a tutti finché non rispondono, sgattaiolando fuori dalle baracche e mettendosi a cerchio intorno alle persone che sono arrivate lì per vedere la nuova casetta di legno, prototipo di una vita diversa, che guardano con curiosità. Sono i bambini del campo nomadi Casilino 900. Molte femmine, in canottiera e gonnella. «È arrivato Alemanno?»  dice una ragazzina sui 13 anni, coda alta e castana, che gira con due bottigliette vuote in mano. «Vado a prendere l’acqua da nonna – spiega, chiedendo subito dopo – Hai visto la casetta? Ci hanno fatto scegliere il modello tra altri, a noi piaceva questa». Quella struttura che sembra uscire da “Una casa nella prateria” e che svetta in cima alla collinetta a sinistra dell’ingresso principale, in realtà viene vista con non poco sospetto dagli altri abitanti del campo. Qualche uomo si avvicina ai “visitatori” accaldati che entrano, guardano, fotografano. Gli altri non si muovono dalle solo sistemazioni, spesso di ventura. Restano in quelle che dovrebbero essere case e proseguono nelle loro attività. Negli slarghi tra una baracca e l’altra, cumuli di rifiuti abbandonati sulla ghiaia: valige, vestiti, tubi, pezzi di infissi, tavole di legno. Tutto ammucchiato, accatastato. Come lo sono queste abitazioni abbarbicate sui rilievi del terreno, e l’una all’altra; come quelle che i bimbi costruiscono nei boschi per giocare. E i bambini, quelli veri, che sono lì dentro, girano con le biciclette e a piedi, i più piccoli nudi. Sbucano dietro le porte, dalle finestre con i teli inchiodati alle assi. Muri di separazione che sono un’accozzaglia di porte di altre case, di chissà quali posti. Davanti a questo, se questo è quello che si vede da decine di anni, la speranza viene meno, e anche le casette di legno sembrano un miraggio, o peggio un’illusione. «Lo faranno davvero? – si chiede  Diana,  di Pristina, uscendo dalla sua abitazione –  sono qui da vent’anni, ormai non credo più a niente, tantomeno alle promesse». Mentre parla un bambino piccolo quanto la bacinella in cui sta facendo il bagno, guarda la ragazza che più in là lava dei piatti con una canna di gomma. Diana non è l’unica ad avere paura che tutto quel clamore che si sta scatenando all’inizio del campo sia questione di un momento. «Ma è vero che viene Alemanno? – aggiunge una donna con in braccio un piccolo e intorno altri 3 bambini – faranno qualcosa per noi?». Anche lei, con una smorfia di rassegnazione risponde: «Io? Sono qui da una ventina di anni».