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Il Fatto Quotidiano

Anno

2018

Chi cerca Il Muro del Canto troverà Il Muro del Canto. “L’amore mio non more” – grido di resistenza all’indifferenza, più che all’odio – è il quarto disco della band capitolina che torna con tutti i suoi caratteri distintivi. Nonostante il gruppo abbia esplorato ambiti musicali diversi dal punto di vista ritmico e armonico (per palati fini), lo stile resta fedele a se stesso. Un folk rock cupo che fa perno, come spiega Alessandro Pieravanti – voce narrante e batteria – su alcuni cardini, dalla fisarmonica alla voce bassa di Daniele Coccia. Addendi che non si possono cambiare, come non si può cambiare Roma. E proprio a loro, che con la città e le sue strade ci riempiono i testi, viene da chiedere cosa rappresenti oggi: “Roma è difficile da inquadrare e definire. È un calderone in ebollizione, con tutte le contraddizioni del nostro tempo e nella quale vedi esasperato quello che va e quello che non va – risponde Pieravanti – Vive di una propria energia, a suo modo accogliente e, fortunatamente, multietnica”.
Anche quando la chiamano maledetta, Roma, come nel titolo di una delle tracce, non la intendono vittima di un anatema, quanto tetra scenografia di fattacci di nera: “Quel brano è più un esercizio storico che mette in fila i fatti di cronaca nera, partendo dal fratricidio di Romolo e Remo. Si riferisce a un’estetica della negatività dalla quale si tende ad essere attratti. In realtà, la città è molto più positiva di ciò che sembra”.
Sempre che si giri dall’altra parte. “La Roma che ci fa paura è la Roma indifferente” cantano: “Esiste, ovviamente. Quella degli sgomberi, delle case popolari, del razzismo”. Anche in questo, Il Muro non presta il fianco a dubbi. Anche se quando sono nati, nel 2010, qualcuno ha scambiato il loro look total-black per qualche nostalgica ispirazione (che oggi andrebbe di moda), l’impegno sociale e la matrice fortemente ideologica dei contenuti hanno presto risolto ogni tipo di equivoco (“Indossiamo il nero perché sfina, siamo tutti in sovrappeso”, scherza). Vicini alle periferie – il video del singolo “La vita è una”, con Marco Giallini, è girato alla Palestra Popolare del Quarticciolo – ritengono “un obbligo morale” parlare di quella città dal basso che si riscatta e rinasce, senza l’ombra di un privilegio.