Le parole sono una questione seria. Succede di perderle per caso, di rileggerle accostate con furia e disattenzione, ma sono cosa seria.  Solo dosandole si ha la percezione di averle ponderate con dovizia, di non averle lasciate al caso di una stanchezza accumulata che ha bisogno di sonno.
Quando sono poche, bilanciate, secche, quasi non c’è pericolo che siano lanciate alla rinfusa nella furia delle ore che passano.
Certe parole sono questione seria perché costano fatica. Pesano sulle dita caricandosi man mano che escono dal pensiero e diventano forma. Tentennano tra il bianco e il nero con paura. Si cancellano, ma poi ritornano, a volte.
Sono questione seria anche quelle che non sono costate nessuna premura. Quando fanno pena come la perdita di stima verso un maestro, dolore più forte del tradimento di un amico o della perdita di un uomo (anche perché un essere umano che butta le parole non è questione affatto seria).
E a differenza delle persone, danno sempre una possibilità: di rinfrancarsi da un gesto scomposto, di spiegare il malinteso, di rincuorare dal non detto, di accettare ciò che non si era capito.
Arma e cura, guerra e tregua, opzione e scelta. In cambio chiedono solo un prezzo: essere considerate una questione seria.